L‘Osservazione Istituzionale è un metodo clinico ideato per comprendere i processi relazionali, le situazioni lavorative e le culture istituzionali nei loro aspetti meno visibili, perché prevalentemente inconsci, trascurati o semplicemente occultati.
Si tratta di un metodo derivato da quello originariamente creato dalla psicoanalista inglese Esther Bick per l’osservazione della relazione madre-bambino, la cosiddetta “infant observation” (Bick, 1964), adattata all’analisi dell’organizzazione dai ricercatori della Tavistock Clinic (Obholzer) e del Cassel Hospital (cfr. Hinshelwood e Skogstad, “Osservare le Organizzazioni”. tr.it. Ananke, Torino 2005). Il “metodo Tavistock-Cassel” di osservazione istituzionale in effetti integra l’impiego della lente psicodinamica con una lettura del contesto di tipo sistemico e/o etnografico, collocando le evidenze dei comportamenti individuali osservabili a ridosso delle risonanze emozionali dell’osservatore e interpretandoli come “funzioni” del gruppo o del sistema e come derivati degli assunti impliciti dell’istituzione e della sua cultura sommersa.
Esistono programmi di studio e di training sul metodo dell’osservazione istituzionale, e da qualche anno vengono usate tecniche di tipo osservativo come metodologie di formazione, come strumento di consulenza organizzativa e per interventi di coaching ai gruppi dirigenti. Al metodo dell’Osservazione Istituzionale e alla descrizione di alcune esperienze applicative è stato dedicato un Convegno che si è tenuto a Torino nel 2012.
Osservare la realtà intorno a noi è una capacità innata e insieme un bisogno; ci serve per orientarci nel mondo e decifrare le relazioni e le emozioni degli altri, oltre a fornirci molte informazioni preziose anche su noi stessi. Noi osserviamo continuamente cose e persone, eventi e discorsi, dettagli e scenari, ma raramente ci viene spiegato che potremmo impiegare quello che abbiamo osservato, né in che modo farlo, tanto che la maggior parte dei dati osservativi rimane inconscia e inutilizzata o al massimo disponibile per regolare comportamenti automatici. Salvo rare eccezioni, come appunto l’osservazione della relazione madre-bambino, o lo studio del comportamento scolastico e le indagini antropologiche, questo processo così “naturale” non viene considerato uno strumento operativo utilizzabile da chi lavora nei gruppi e nelle organizzazioni, come manager, come collaboratore o come consulente.
I difensori degli approcci “digitali” obietteranno, non senza buone ragioni, che una telecamera o uno scanner vedono molto meglio di un occhio umano, e che quando si cercano informazioni dettagliate, affidabili e complete un osservatore offre troppo poche garanzie, perché vede e non vede, distorce, dimentica, sfuma, interpreta, in una parola la sua visione è troppo soggettiva; cosa che non accade – o accade in misura molto minore – con sistemi osservativi oggettivi come diari, fotografie, scale, questionari, audio e videoregistrazioni ecc.
Tuttavia, ai fini che ci proponiamo – la comprensione profonda delle dinamiche relazionali e delle culture istituzionali – sta proprio in questo la superiorità di un’osservazione soggettiva, nel fatto che non si tratta di una “registrazione”, ma di un processo di conoscenza esperienziale, e pertanto inevitabilmente insaturo e incompleto. Quello che potrebbe apparire un difetto – il dover fare a meno di molti elementi mancanti, di contenuto e a volte persino di contesto – si rivela spesso un vantaggio, perché ci costringe ad attingere a modalità di esperienza più sensoriali, intuitive, empatiche e soprattutto all’auto-osservazione, basata in larga misura sull’impiego delle emozioni che vengono evocate nell’osservatore dal campo osservato, ossia di ciò che la psicoanalisi chiama “controtransfert”.
Gli obiettivi dell’osservazione istituzionale possono essere così sintetizzati:
- osservare senza preconcetti e costruire ipotesi sul clima, sulle relazioni e sul funzionamento di un’organizzazione;
- mantenersi nel ruolo di osservatore nonostante le pressioni esterne ed interne ad abbandonarlo o ad alterarlo;
- stare a contatto con le proprie sensazioni ed emozioni personali per cercare di capire in che misura rappresentino risposte (controtransferali) dell’osservatore ai processi e alle dinamiche istituzionali a cui è stato esposto.
Questi tre punti, cruciali nel lavoro consulenziale, sono altrettanto importanti per chi opera in un’organizzazione nel ruolo di professionista, manager, dirigente o come formatore.
L’impiego dell’osservazione si rivela molto utile, oltre che nei progetti di ricerca, nelle forme avanzate di diagnosi e consulenza organizzativa o di coaching profondo (deep coaching), così come nelle analisi dei ruoli organizzativi, nel counselling per problemi strutturali o strategici, nelle negoziazioni, nella risoluzione dei conflitti e nella gestione delle crisi. L’osservazione trova posto anche in molti programmi formativi, in particolare nella formazione al lavoro di gruppo, dove può essere svolta individualmente (come quando un gruppo opera in presenza di un osservatore) o collettivamente (come nel metodo dell’acquario, o fishbowl, dove un gruppo lavora o mette in scena un problema collocandosi al centro di un cerchio di osservatori partecipanti), incrementando nei presenti il grado di partecipazione e la capacità di apprendere dall’esperienza.
D’abitudine le valutazioni di clima organizzativo si svolgono con strumenti oggettivi (questionari, test, visione dei documenti, analisi degli indicatori, videoregistrazioni ecc.) o soggettivi (fabbisogni e problemi dichiarati, interviste).