i Gruppi Balint – così chiamati dal nome del loro ideatore, Michael Balint – sono un metodo di lavoro di gruppo destinato ai medici e alle altre professioni di cura e d’aiuto, che ha come scopi la formazione psicologica alla relazione con il paziente, la “manutenzione del ruolo curante” e la promozione del benessere lavorativo.
Nato a Budapest nel 1896, Michael Balint, figlio di un medico di famiglia, dopo la laurea in medicina lavorò per qualche anno nel campo della biochimica. Formatosi al metodo analitico con Sandor Ferenczi, un allievo di Freud, lavorò a Budapest come analista fino al 1939 e poi si trasferì in Inghilterra come rifugiato. Alla fine della guerra entrò a far parte dello staff della Tavistock Clinic di Londra, dove a partire dai primi anni ‘50 iniziò, insieme con la seconda moglie, Enid, ad occuparsi della formazione dei General Practitioner: nacquero così i gruppi di training che presero il suo nome, i Gruppi Balint. Nel 1957 uscì il suo libro più importante, Medico Paziente e Malattia, e da allora la formazione dei medici di famiglia inglesi venne profondamente influenzata dal suo metodo.
I Gruppi Balint rappresentano una metodologia collaudata di formazione di gruppo, creata originariamente per l’addestramento psicologico dei medici di famiglia e adattata successivamente ad altre figure professionali. Nata all’interno di un modello delle cure fondato sul rapporto a due curante/paziente, è venuta nel tempo ampiamente trasformandosi e rimodellandosi per rispondere ai profondi mutamenti che nel corso degli ultimi decenni hanno cambiato il volto della medicina, delle cure primarie e del welfare, e che nel lavoro del medico di famiglia hanno gradualmente trasformato la relazione di cura in un insieme di relazioni di coppia, di gruppo e di rete, più complesse e più impegnative sia in termini professionali che per i loro costi emotivi.
Le premesse concettuali del “metodo Balint” sono le seguenti:
- il “farmaco” più frequentemente prescritto è la personalità del curante, ma la sua “farmacologia” è sostanzialmente sconosciuta;
- sebbene un’ampia quota del lavoro del medico di famiglia e di molti curanti sia assorbita da casi “psicologici” la formazione sanitaria non prevede nessun tipo di preparazione specifica;
- la medicina presta molta attenzione alla malattia e ai sintomi, molto meno alla persona malata, poco o nulla alla relazione curante-paziente, per quanto le vicissitudini di tale relazione siano così spesso causa di insoddisfazione e di ansietà per entrambi i partecipanti, oltre che fonte di frequenti errori diagnostici e terapeutici;
- l’esperienza, il buon senso e la buona volontà non bastano a fare un buon professionista della cura;
- il moderno sistema delle cure richiede al curante nuove competenze emotive e relazionali, senza le quali il suo lavoro corre il pericolo di diventare inefficace, rischioso e molto logorante.
Rivolto in origine essenzialmente ai medici di famiglia, per la specificità del loro lavoro, che si basa su relazioni di cura di lunga durata e spesso di particolare intimità e intensità emozionale, questo approccio è stato esteso e proficuamente adattato anche a medici ospedalieri, infermieri, tecnici sanitari, studenti in medicina, psicologi, assistenti sociali, educatori, e persino a magistrati, insegnanti e dirigenti di servizi e istituzioni socio-sanitarie. In termini generali il metodo si è rivelato utile per tutte le professioni che implicano una relazione d’aiuto (le c.d helping professions) essendo centrato:
- sull’indagine della relazione tra professionista e cliente;
- sull’azione del gruppo come strumento facilitatore del pensiero;
- su un apprendimento basato sull’esperienza e non solo sulla conoscenza intellettuale.
Gli obiettivi che il metodo Balint si propone possono essere riassunti in quattro punti:
- Miglioramento della relazione di cura
- Manutenzione del ruolo curante
- Protezione del benessere lavorativo del professionista
- Addestramento al lavoro di gruppo
I risultati attesi sono:
- l’individuazione dei fattori emozionali operanti nella relazione e riconoscimento del loro ruolo nei processi di diagnosi e cura (elementi di solito poco affrontati nei corsi di formazione);
- il miglioramento della capacità di lavorare in gruppo, ovvero di crescere professionalmente imparando dalle proprie esperienze e da quelle degli altri, e di cooperare attraverso la gestione delle differenze personali e professionali e il governo dei conflitti;
- il miglioramento della qualità della comunicazione, particolarmente cruciale in un’epoca caratterizzata dal sovraccarico delle informazioni e dal trionfo delle tecnologie, a spese del “sistema umano di erogazione delle cure” e con una crescente disumanizzazione della medicina.
Il metodo Balint non si propone come uno strumento di management sanitario o di ottimizzazione delle risorse e nemmeno mira a trasformare medici e infermieri in psichiatri o psicoterapeuti; tuttavia, tra le ricadute positive che sono state osservate figurano anche vari miglioramenti nel sistema delle cure:
- nel riconoscere e gestire con più efficacia l’errore e il rischio (per effetto della riduzione dell’ansia e del miglioramento delle relazioni collaborative)
- nell’utilizzare meglio le risorse economiche (poiché una buona alleanza medico-paziente riduce la domanda e il ricorso a terapie e indagini inappropriate, cioè a una “medicina difensiva”)
- nel ridurre i fattori di stress lavorativo e di burn-out, aiutando i professionisti a prendersi cura con più soddisfazione dei loro abituali pazienti.
I Gruppi Balint, strumento basilare della formazione e del supporto al ruolo curante secondo il metodo che abbiamo descritto, sono piccoli gruppi, mediamente di 6-12 partecipanti, centrati non tanto sulle dinamiche gruppali ma essenzialmente sulla discussione collettiva di un caso clinico “problematico” presentato da un partecipante, con l’aiuto di uno o due conduttori. La discussione non verte primariamente sugli aspetti tecnici del trattamento come nelle clinical conference o nelle supervisioni, ma sull’esperienza emotiva della relazione di cura da parte dei suoi protagonisti.
I gruppi hanno cadenze prefissate, di solito quindicinali, durano circa un’ora e mezza e si protraggono nel tempo in media per un paio d’anni. La partecipazione, preferibilmente su base volontaria, può essere subordinata a una qualche forma di preselezione. Il materiale di discussione è costituito dal libero resoconto di un caso clinico o una situazione istituzionale recenti che abbiano presentato delle difficoltà o abbiano creato disagio al curante. La continuità del gruppo permette di seguire l’evoluzione dei casi presentati e di verificare nel tempo le ipotesi diagnostiche e le condotte terapeutico-assistenziali. Particolare importanza è attribuita alla creazione di un clima di gruppo aperto e solidale, capace di promuovere una libera comunicazione tra pari, assicurando ai membri sostegno e sicurezza, ma anche permettendo la franchezza e la critica. Il metodo di conduzione del gruppo e quello di elaborazione del materiale riportato derivano in larga misura dalla psicoanalisi.
In origine a composizione omogenea (ad es. solo medici di medicina generale), sempre più spesso gli odierni GB sono di tipo disomogeneo, rispecchiando i recenti modelli di lavoro basati su team e su interazioni di tipo interprofessionale.
I Gruppi Balint sono guidati da due conduttori, di solito uno psichiatra o psicologo con formazione psicoanalitica affiancato da un medico di famiglia o altro professionista sperimentato in questo metodo. Il ruolo del conduttore del Gruppo Balint è quello di un promotore del pensiero collettivo, tutore della coesione del gruppo ma anche della sua libertà di parola e di critica, regolatore delle crisi, interprete dei processi psicologici che si rendono visibili nella discussione dei casi. L’accento è messo sul suo ruolo facilitatore del processo di apprendimento, ben diverso da quello di un docente che fa lezione o comunque dell’esperto che trasmette a dei non-iniziati un sapere precostituito.
Vedi Bibliografia, sezione Balint.